Negli ultimi anni Barbara Uderzo ha cominciato a spostarsi in molte città con valigie itineranti ricolme di caramelle ed altre leccornie, chiamata a proporre le sue dolci performance; crea gioielli con materiale alimentare, inanellando caramelle gommose che si forano con un filo, o selezionando bonbons profumati, costruisce gioielli sulle persone con gesti di grazia e gentilezza… Ricordiamo la tappa della performance berlinese con i Glucogioielli del luglio scorso, alla fiera della moda “Stark” e in Svizzera, a Bellinzona, la performance con i Bijoux-chocolat.
I GLUCOGIOIELLI nascono dall’idea di una collezione formata da ornamenti amorosi da indossare e mangiare in compagnia. Sono il cromatico risultato di ricerca ottenuto dalla manipolazione di prodotti dolciari già esistenti, rintracciati in incursioni creative nei supermercati e riutilizzati con la finalità di fabbricare piccole serie di gioie commestibili. Ottenuti da incroci e lavorazioni di MARSHMALLOWS, LIQUIRIZIA, GOMMOSETTI, BANANE DI ZUCCHERO, FRUITS SNAKES, sono collane, bracciali e spille realizzati infilando e alternando caramelle scelte.
GLUCOGIOIELLI di Barbara Uderzo da “SOFT & SWEET – note sulle performance di Barbara Uderzo
(…) in primis l’artista vicentina è una designer che persegue con successo l’ambizione di ridefinire in toto il valore di quei particolarissimi oggetti d’affezione che sono i gioielli. Nel corso della sua ventennale carriera, ne ha saggiato in lungo e in largo la “tenuta”, sia formale che semanticosimbolica, dapprima con i gioielli effimeri creati mediante l’uso di sostanze alimentari, quali i Bijoux-chocolat, i Glucogioielli, i Candycandle e Free.zero (questi due ultimi non alimentari, ma ugualmente effimeri nella loro instabilità e deperibilità). Tutti questi gioielli sono, già di per sé, realizzazioni a carattere performativo, se con “performativo” s’intende qualcosa di co-implicante il corpo, non solo nell’offrirsi della “cosa” allo sguardo, nella sua mutevolezza, ma altresì al gusto, al tatto, all’intera sfera sensoriale: cioccolato che si scioglie, da gustare con golosità; assortimento di caramelle infilate a mo’ di collane, da soppesare in mano, apprezzare visivamente nella varietà di forma-colore ed infine assaggiare; masse di neve gelata che si disfano un po’ alla volta, o cubetti di ghiaccio opachi che diventano lucidi e trasparenti, prima di sciogliersi e poi scomparire in minute gocce d’acqua scorrenti sulla pelle…
La materia di questi “gioielli-scultura”, fatti di componenti facilmente reperibili nel quotidiano come accade per i ready-mades, è già di per sé affascinante e “significante”: basta un piccolo intervento per creare l’oggetto, che poi si relazionerà con il corpo e manterrà aperta con esso un canale di relazioni, proprio per il tramite della materia in divenire di cui l’oggetto stesso è costituito. Proprio tale dialettica processuale e metamorfica produce, in un certo senso, una performance. Così come l’esperienza della materia posta a diretto contatto del corpo, che è catalizzatore di sensazioni e collettore di “eventi”, è ancora una performance, dato sì che la persona interagisce attivamente – come in qualsiasi altra performance – con ciò che tocca o indossa. (…) “Non mi interessa spettacolarizzare l’evento”, dice infatti l’artista, “perché non c’è teatro, non ci sono spettatore e pubblico separati nel mio pensiero; penso alle persone come a coloro che possano vivere questi gioielli in prima persona, magari dentro le mura domestiche… Crearli, inanellando caramelle gommose che si forano con un filo, o selezionando bonbons profumati, per me è un gioco… un facile, sereno e gioioso gesto. Fare gioielli solitamente è un lavoro duro, prima di tutto proprio perché si ha a che fare con la durezza dei metalli, o comunque con materie ‘difficili’, da trattare con forza e precisione, e con un’esperienza di anni… Passare ai Glucogioielli è stata pertanto una vera gioia”. Sintetizzando, si potrebbe dunque dire che dietro il suo lavoro c’è quello stesso brain-fraime concettuale che fa immancabilmente da supporto alle diverse esperienze performative.
Ma qui il concetto “è leggero”, puntualizza la Uderzo, “e rende possibile la mia concentrazione sull’esterno, sulle persone che guardano, per le quali costruisco un gioiello ‘personalizzato’: personalizzato dall’attenzione, lo stupore, la golosità. Delle persone che, ad esempio, si muovono in una fiera, lontane dal mio spazio fisico ed affettivo, ma indossando ancora il mio gioiello, quindi una parte di me”. Sicché, alla dimensione hard di performers che lo stupore, il pàthos e la polarizzazione seità-alterità li affidano ad azioni spinte ai limiti della sopportazione psicofisica, loro propria e degli spettatori, (…) si sostituisce una connotazione decisamente soft, anzi più propriamente sweet, che al “mettere in mostra”, all’esibire talora osceno, sembra finalmente sostituire o aggiungere un “qualcosa” che mancava, cioè la grazia, la gradevolezza, la gratificazione: tattile, olfattiva, gustativa. (Livio Billo)
BARBARA UDERZO, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Venezia, lavora sul “gioiello” dal 1990, sia come consulente aziendale (designer e modellista) sia come creatrice di collezioni (progetto e realizzazione) che sono il risultato di ricerca e sperimentazione. Suoi materiali di ispirazione non sono solo i preziosi ma anche legno, plastica, carta, cera e anche sostanze commestibili come zucchero e cioccolato. Interessata a creare anche oggetti effimeri in cui sia fondamentale l’aspetto concettuale del lavoro, l’artista pone l’accento sul percorso progettuale e sulla reazione del fruitore, su un effetto effimero, ludico ed ironico che sia di “condimento” al gioiello contemporaneo e giochi con il sexappeal della materia alimentare. Vive e lavora a Creazzo (Vicenza) e a Milano….altri articoli su di Lei li trovate sempre sul mio blog!
Photo: A.Collini e STUDIO MARABOLI per le foto della performance.
www.uderzo-designer.it/