In una pagina del suo diario, C.F. Hebbel ha scritto che «nessuno può aggiungere niente a un fiore». «Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa», ha ammonito Giorgio Caproni, «nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa» – «l’ardente e cieca rosa che non canto, la rosa irraggiungibile» con le parole di Jorge Luis Borges. Tutto vero. Ma ha ragione anche H. W. Beecher, secondo cui «i fiori hanno un’influenza misteriosa e sottile sui sentimenti»: come certe melodie musicali, «rilassano la tensione della mente, dissolvono in un attimo la sua rigidità». Per me è stato così, e il florilègio che segue – irriverentemente trapiantato tra fiori illustri – ne è la testimonianza
(Marco Sonzogni – Ci vuole un fiore – prefazione di Gabriella Sica
Vito Nesta reinterpreta l’uso della mattonella in ceramica, collezione Kyma per Sambonet, trasformandola in vassoi delineati da un profilo tondo in acciaio inox che ne definisce il perimetro.
Il segno poetico distintivo di Vito si esprime in Florilegium, un’antologia botanica che ripercorre le epoche nei tessuti retrò decorati di fiori e vegetazione, immagini sospese, rievocazione di un paesaggio sognante e fiabesco. Un filo di acciaio che recinta un bouquet di fiori colorati in ceramica che “rilassano la tensione della mente e dissolvono in un attimo la sua rigidità” e la rigidità della ceramica…