Vi lascio le parole di Rui…, un dono da parte sua per i miei Lettori…(non mi sono sentita di tralasciare nulla ne di modificare nulla)…
“Ogni lavoro di questa serie è creato direttamente da parti di bottiglie di PET che un tempo contenevano acqua o bevande. Ne ho usato il fondo, il collo di bottiglia o un lato per realizzare le diverse forme.
Per prima cosa disegno un progetto o posiziono un piano sulla plastica e poi taglio. Ciò che non posso tagliare con le forbici lo devo tagliare con una sega a causa dello spessore e della curvatura. Poi lo rifilo. Le fasi di taglio sono molto laboriose poiché la plastica possiede una qualità “appiccicosa”, che la rende molto difficile da conferire una bella finitura finale e la forma originale del materiale limita il tipo di taglio che posso applicare.
In seguito con molta attenzione conferisco alla plastica una forma usando un phon e in questa fase è molto importante prevedere come si ridurrà la plastica.
Ogni elemento viene poi colorato in tre fasi di sovrapposizione di colore su colore. I pezzi si ridurranno ulteriormente come saranno posti nell’acqua calda colorata. In seguito saranno poi in forma per braccialetti o per anelli d’argento.
Nell’osservare le modalità di consumo della società odierna è molto apprezzabile il fatto che l’interazione delle persone con gli oggetti è definita da regole precise e questo non ha poca influenza sul consumatore. Come risultato un oggetto viene usato ed esposto una volta che questa funzione è completamente soddisfatta. Per esempio, il packaging, la carta, gli articoli elettronici soddisfano un preciso bisogno tuttavia viene poi gettato via apparentemente senza pensarci. La conseguenza di questo comportamento non è soltanto il sovra consumo dei beni, ma anche il restringimento del nostro ambito verso la definizione di bellezza.
Ho iniziato a chiedermi perché qualcosa è percepito avente poco valore di primo acchito? Perché le convenzioni sul valore influenzano le opinioni personali sulla bellezza?
Un giorno mi è accaduto di notare un disegno floreale sul fondo di una bottiglia di plastica e l’ho tenuto sul mio tavolo. C’era qualcosa di bello – un misto di funzione e estetica – anche se proveniva da una linea di assemblaggio che esaltava la velocità di produzione e il basso costo come qualità ideali.
Manipolando una tale quantità di PET il mio intento è di reputare l’oggetto terreno e scoprire in esso la bellezza. Nel profondere la nostra umanità attribuendo a questi materiali un valore risiede la mia speranza che ogni giorno si possa vivere una meravigliosa scoperta.
Le persone a volte dicono che i miei lavori sembrano anemoni. Sono sicura che una volta immersa nell’oceano, troverei creature in abbondanza che considererei belle nel loro aspetto pacifico e grottesco. Per quanto queste esperienze influenzino il mio lavoro, non sono convinta di rappresentare i miei lavori come un panorama di vita marina, piuttosto mentre lavoro ed esperimento con la materia, prendo coscienza del potenziale insito in essa. Trovo che la materia stessa mi parla e mi insegna che tipo di incrementi o di trasformazioni vuole che faccia. Il controllo della natura, ho scoperto, non è soltanto il dominio su certa materia ma un tipo di conversazione e cooperazione forse, un connubio tra abilità all’ascolto e al riconoscimento che la materia si sforza a divenire bella.
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Sento sconforto se il mio lavoro viene interpretato come “pattume prezioso”, semplicemente perché questo è un paradosso (se un pezzo di pattume fosse prezioso, non sarebbe pattume). Sono anche dubbiosa che il mio lavoro parli sinceramente di coscienza ambientale anche perché esso consuma diverse calorie per essere prodotto e non faccio nulla perché ci sia una compensazione verso l’ambiente, tuttavia non penso nemmeno che i miei lavori possano essere considerati come oggetti di riciclo. Questi sono i dubbi che ho nei confronti della qualità del mio lavoro. Realmente voglio solo che le persone vedano che qualsiasi cosa della loro vita può divenire bella e graziosa.” (Rui)
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